Le donne sono capaci di muoversi unite in nome di libertà e diritti?fonte: http://27esimaora.corriere.it

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    Ho le braccia a pezzi a forza di abbracciare le nuvole. (Charles Baudelaire)

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    Le donne sono capaci di muoversi unite in nome di libertà e diritti?
    di Barbara Stefanelli


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    La stiamo forse già dimenticando. Ma poche settimane fa, il 21 gennaio, una marcia ha mostrato al mondo la forza sorprendente del movimento delle donne. Da Washington a San Francisco, da Roma a Tokio, dall’India all’Australia, per una giornata la mappa interattiva delle piazze internazionali mostrava centinaia di puntini rosa lampeggianti insieme: era il colore dei cappellini con le orecchie da gatta indossati dalle/dai manifestanti per rimandare al mittente (Trump) ogni avance - o avanzata - sessista. Milioni di persone sono sfilate in nome dei diritti, delle libertà, del rispetto.
    Che cosa è rimasto, a marzo, di quello slancio e di quell’impegno? Di quella fiducia nella partecipazione e nella condivisione portata nelle strade, sui cartelli, sui social?

    Scrivono molti osservatori – soprattutto nel mondo anglosassone – che in questa fase minacciata da forme di “democrazia illiberale” (definizione proposta da Timothy Garton Ash in attesa di “sintesi migliori”) il femminismo potrebbe porsi come testa e cuore di un’idea progressista rispetto a tanti leader, partiti, coalizioni tradizionali, più sfilacciati e deboli.
    Ma se questa è una possibilità, straordinaria e forse inattesa, fino a che punto siamo disposte a superare le differenze, le tensioni, le distanze tra noi pur di restare un corpo unito?

    La domanda è sorta anche nei giorni precedenti la #womensmarch con la decisione da parte degli organizzatori prima di accogliere e poi di respingere le associazioni di donne pro-Life, che alla fine hanno partecipato a titolo personale ma sono state sfilate dall’elenco degli sponsor ufficiali. Perché dividerci sull’aborto, hanno protestato le rappresentanti di alcuni di questi gruppi, se su tanti altri fronti – la retribuzione, l’educazione, la lotta alla violenza domestica – siamo dalla stessa parte e respiriamo la stessa aria quotidiana?
    L’aborto è un tema che sta alla radice del movimento stesso delle donne e chiama una riflessione lacerante, la stessa che si sta generando in Italia sulla maternità surrogata. Tuttavia ci ritroviamo al bivio anche in campi che sembrerebbero più semplici da attraversare senza disunioni. Il femminismo storico può stringere alleanze con chi si mobilita per il “self empowerment” nel lavoro e nella carriera professionale?
    Per Jessa Crispin, autrice di Why I’m not a feminist, tutti gli slogan (vedi la chiamata a farsi avanti, il Lean-In, di Sheryl Sandberg) che scaturiscono da questo fronte sono fastidiosi, se non pericolosi frammenti del narcisismo contemporaneo declinati al femminile. Donne giovani e meno giovani che cercano di «comprarsi la propria via d’uscita» dal patriarcato, ma che non portano ad alcuno smottamento di sistema per le altre.
    E ancora: che dire delle invenzioni creative del “femminismo pop”?
    Dal palco di Beyoncé alle campagne di Emma Watson, dalle T-shirt di Dior alle sfilate che chiamano in passerella “il collettivo”, dalle serie tv di Lena Dunham alla nuova narrativa hollywoodiana popolata di eroine armate di intelligenza e frecce: sono interventi cosmetici, una moda d’Occidente che presto passerà, oppure sono nuove leve capaci di spingere le ragazze a pensare - e pronunciare in pubblico - una frase come “io sono femminista”?
    E’ tempo di chiederci se sono – siamo - espressioni dello stesso movimento.
    Storie, identità, parole anche profondamente diverse l’una dall’altra, ma spinte dallo stesso desiderio di andare e cambiare lo stato delle cose. Radici profonde o fresche, più intellettuali o più popolari, silenziose o un po’ fracassone, portatrici di linfa alla stessa pianta.
    Dal 9 marzo 2011, La27ora ha cercato di avanzare lungo la strada - anzi: le strade, al plurale -dell’incrocio continuo di idee, generazioni, pensieri. Non abbiamo però mai smesso di interrogarci su questa scelta che sappiamo essere un esperimento, un cantiere aperto dove la casa era e resta in costruzione. E non abbiamo smesso di incassare critiche, più o meno affettuose, in un cammino per il quale gli americani hanno trovato la parola “intersectional”.
    In questi giorni, vigilia di compleanno, riproponiamo la domanda a voi: lettrici e lettori, collaboratrici, studiose, ricercatrici, testimoni e rappresentanti di tante esperienze, progetti, associazioni. Donne e uomini.
    Qual è la direzione da prendere perché la marcia di fine gennaio non si fermi?
    E’ giusto esercitare radicalità innanzitutto nell’inclusione, accettando – e cercando di accorciare – le distanze tra noi per trovare una voce che esprima quello che siamo e vogliamo essere?



    Non ho pubblicizzato le manifestazioni del 21 gennaio sia perché in quel periodo non avevo ancora intenzione di riprendere in mano il blog, sia perché sono state pubblicizzate ovunque e non avevano bisogno del mio sostegno. Sostegno che comunque avrei dato solo in parte, perché credo che tali manifestazioni avrebbero avuto la loro massima utilità prima delle elezioni dell'8 novembre o almeno prima dell'insediamento del Presidente, non dopo. Checché se ne dica, io penso fosse una marcia principalmente anti-Trump (di cui io stesso non condivido molte idee, in primis quelle sul diritto all'aborto) e per questo il messaggio non d'impatto duraturo.

    Per rispondere alla domanda finale dell'articolo, penso che la strada da prendere sia quella della battaglia personale innanzitutto, piccoli traguardi da raggiungere ogni giorno. Personale nel senso che prima di tutto deve riguardare noi come persone in generale, perché più passa il tempo più mi rendo conto che ci ostacoliamo gli uni con gli altri e neghiamo qualcosa a qualcuno perché a noi non va bene anche se non ci danneggia e riguarda personalmente o perché non ci riguarda in quel momento (escludendo che qualcosa che ci dà fastidio e vediamo come lontano, in realtà prima o poi ci toccherà da vicino).

    Edited by Light - 2/3/2017, 10:01
     
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    Checché se ne dica, io penso fosse una marcia principalmente anti-Trump

    senza voler arrivare alla polemica sulle organizzatrici (che comprendevano una "convertita all'islam" che si è più volte dichiarata a favore della sharia, e un'altra che si è fatta 15 anni per aver ucciso un gay sessantenne torturandolo a morte, e che è sfuggita al patibolo solo perchè nello stato dove è avvenuto in fatto, in quel periodo, non era prevista la pena di morte) in manifestazioni del genere è sempre dificile evitare una strumentalizzazione politica interessata, e questa volta mi ha dato l'impressione di essere SOPRATUTTO strumentalizzazione politica interessata
     
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1 replies since 2/3/2017, 09:14   37 views
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