4 Maggio 1949: 70 anni fa la tragedia di Supergafonte: corriere.it

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    Ho le braccia a pezzi a forza di abbracciare le nuvole. (Charles Baudelaire)

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    Superga, settanta anni fa: la tragedia italiana in cui scomparve il Grande Torino
    «Voliamo al di sotto delle nubi». L’ultimo messaggio dei piloti e poi lo schianto del Fiat G-212 che inghiottisce la leggendaria squadra granata guidata da Valentino Mazzola. Un libro di Giuseppe Culicchia edito da Solferino rinnova il mito degli Invincibili



    Settanta anni fa. Dopo una sosta tecnica a Barcellona, il G-212 Fiat trimotore-ELCE punta dritto sull’Italia. Il tempo è pessimo; spira un vento di traverso e piove. Scartati gli scali di Milano e Genova, l’equipaggio decide di atterrare a Torino. Il radiogoniometrista del campo di volo dell’Aeronautica riceve un messaggio dall’aereo: «Voliamo al di sotto delle nubi, quota 2.000 metri. Tra venti minuti saremo a Torino». Dal campo di volo parte l’ultimo comunicato: «Nebulosità intensa, raffiche di pioggia, visibilità scarsa, nubi 500 metri». Alle 17,05 del 4 maggio il disastro: 31 vittime: diciotto calciatori, dirigenti e tecnici, i membri dell’equipaggio e tre giornalisti. Toccò a Dino Buzzati raccontare per il Corriere la catastrofe del Grande Torino: «Un pallido, rossastro riverbero illumina ancora palpitando le muraglie della Basilica di Superga. Un pneumatico dell’apparecchio sta ancora bruciando, ma la fiamma cede, tra poco sarà completamente buio. Lo spaventoso disastro è successo alle 17,05. Superga era avvolta in una fitta nebbia. Non c’erano turisti, pellegrini, non una coppia di sposi in viaggio di nozze».

    Tocca ora a Giuseppe Culicchia rinnovare il mito degli Invincibili: «Superga 1949. Il destino del Grande Torino, ultima epopea dell’Italia unita» (Solferino). Le figure del mito vivono molte vite e molte morti; e la leggenda del Torino emana ancora una forza prodigiosa, la baldanza di ciò che allontana dal quotidiano e scuote di emozioni il cuore. Raccontando di suo padre Francesco, partito da Marsala per trovare lavoro a Torino, «ragazzo spazzola» in una barbieria nei pressi della stazione di Porta Nuova, innamorato perso del Toro, Culicchia sceglie un angolatura personale per raccontare l’epopea del Grande Torino. E lo fa da tifoso e scrittore, anzi da scrittore e tifoso. Perché la prosa è asciutta e commovente, l’evocazione si trasforma in racconto, i sentimenti diventano personaggi e i nostri eroi rivivono di una furia stupenda, come se il destino tragico non appartenesse loro: «A perdere la vita quel giorno a quell’ora furono nel pieno della loro carriera agonistica e della loro giovinezza, che è bene ricordare sottolineando l’età di ciascuno, i calciatori Valerio Bacigalupo di anni venticinque, Aldo Ballarin di anni ventisette, Dino Ballarin di anni ventitré, Émile Bongiorni di anni ventotto, Eusebio Castigliano di anni ventotto, Rubens Fadini di anni ventuno, Guglielmo Gabetto di anni trentatré, Ruggero Grava di anni ventisette, Giuseppe Grezar di anni trenta, Ezio Loik di anni ventinove, Virgilio Maroso di anni ventitré, Danilo Martelli di anni venticinque, Valentino Mazzola di anni trenta, Romeo Menti di anni ventinove, Pietro Operto di anni ventidue, Franco Ossola di anni ventisette, Mario Rigamonti di anni ventisei, Július Schubert di anni ventisei».

    Leggere oggi quei nomi è come rivivere un’avventura bruciante, un momento di malìa olimpica: «Atena e Apollo si posarono sull’alta quercia di Zeus e godettero degli uomini, raccolti in ranghi serrati, mentre un brivido increspava gli scudi, gli elmi, i giavellotti». Per un momento, siamo assaliti da infantile tenerezza, spostiamo le pedine di un incanto immobile e senza fine. Il Grande Torino sta ancora giocando, sta vincendo. Il mito è una narrazione di un evento che ha avuto luogo in un tempo lontano, fondativo; il mito ha bisogno di un luogo dove il rito dia forma a quella domanda di profondità che resta per lo più inevasa in fondo al nostro cuore. Il Toro ha due sacrari, il «Fila» e Superga. Il Filadelfia (oggi ricostruito come campo di allenamento) era un vecchio stadio da trentamila posti, gradinate e tribune a un metro dal terreno. Uno stadio dove il Torino non aveva mai perduto per quasi sei anni, dove in cinque campionati le squadre ospiti erano riuscite a portare via appena otto punti. E Superga? «Non so voi — scrive Culicchia —, io a Superga vado da solo nei giorni che precedono l’anniversario, perché è giusto e bello e commovente che ogni 4 maggio il popolo granata si dia appuntamento lì dove una targa ricorda i nostri Caduti, ma ciascuno di noi ha il suo modo di rapportarsi alla morte, credo, e il mio richiede solitudine e silenzio. Poi, il 4 maggio, ogni 4 maggio, rivedo i funerali del Grande Torino su YouTube. Conosco a memoria ogni fotogramma, e le parole del commentatore di quel cinegiornale che raccontò la giornata più triste del Torino e del calcio italiano. Eppure, lo ammetto: ogni volta non riesco a trattenere le lacrime. Il filmato è intitolato La tragedia di Superga e i funerali del Grande Torino, e appartiene alla serie “La Settimana Incom” dell’Istituto Luce».

    Sì, quel filmato l’abbiamo visto tante volte e tante volte siamo stati sopraffatti dalla commozione. In questi giorni a Torino, presso «Camera. Centro Italiano per la Fotografia», è allestita una mostra dell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo. C’è una foto che data 6 maggio 1949: un bambino con il gesso scrive sul marciapiede «W il Torino». Culicchia dedica il libro «a tutti i bambini del Toro». Con molte fatiche, noi vecchi bambini abbiamo imparato ad amare il Toro come è ora e come sarà domani, non soltanto come era un tempo. Adesso, la domenica, ci sono tanti ragazzini che vestono di granata. Il mito continua; con nuovi sguardi, con nuove parole.

    https://www.corriere.it/cronache/19_maggio...451e0c86f.shtml


    Il Grande Torino rappresentava anima e cuore di un Paese
    L’Italia usciva dal dramma della guerra e della dittatura e con fatica e orgoglio si metteva sulla strada della democrazia: la squadra di Valentino Mazzola ne era l’alfiere



    Tutti, ma proprio tutti, vogliono bene al Grande Torino. Le barriere del tifo si sgretolano, resiste solo qualche esaltato, ma quello squadrone ha rappresentato un Paese intero che stava uscendo dal dramma della guerra e della dittatura e con fatica e orgoglio si metteva sulla strada della democrazia. Retorica? Macché, storia e verità che si intrecciano, ben interpretate da quel Torino di Valentino Mazzola in grado di diventare la prima squadra italiana: non è un caso, tutt’altro, che la Nazionale di Vittorio Pozzo, il c.t., colora d’azzurro ben 10 giocatori-campioni di quella squadra, che batte l’Ungheria, proprio a Torino (11 maggio 1947).


    L’anima e il cuore del Grande Torino appartengono e battono insieme al Paese. La sciagura aerea, la tragedia ha fatto diventare quella squadra un mito, assumendo una dimensione quasi innaturale, invincibile, mai arrogante, che si basa sull’umanità: trasformandosi in leggenda, il Grande Torino ancora adesso ci conquista, affascina, emoziona, incuriosisce, diventa un libro sempre aperto, inesauribile nel suo
    sapere, proprio come questo Paese chiamato Italia.

    https://www.corriere.it/sport/19_aprile_30...62bd0716c.shtml



    Il Torino FC era la squadra del cuore del mio nonno materno e da quando non c'è più tifo anche per lui (tranne quando gioca contro l'Inter... a tutto c'è un limite!). Mi fa un po' senso quando leggo di "tifosi" che scrivono schifezze sui muri su questa tragedia, purtroppo uno sport che dovrebbe essere simbolo di unione, cooperazione e rispetto viene spesso trasformato in un metro di misura della pochezza umana.

    Stasera più che mai (c'è il derby) Forza Toro!
     
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    CITAZIONE (Light @ 3/5/2019, 20:57) 
    Il Torino FC era la squadra del cuore del mio nonno materno e da quando non c'è più tifo anche per lui (tranne quando gioca contro l'Inter... a tutto c'è un limite!).

    anche mio nipote è interista, a scorno dei suoi genitori, entrambi juventini :asd:
    CITAZIONE (Light @ 3/5/2019, 20:57) 
    Mi fa un po' senso quando leggo di "tifosi" che scrivono schifezze sui muri su questa tragedia, purtroppo uno sport che dovrebbe essere simbolo di unione, cooperazione e rispetto viene spesso trasformato in un metro di misura della pochezza umana.

    non si può cavar sangue da una rapa, o trovare intelligenza, o anche solo buonsenso, in una testa di rapa :fifi:
    CITAZIONE (Light @ 3/5/2019, 20:57) 
    Stasera più che mai (c'è il derby) Forza Toro!

    :birra:
     
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